Per odio o per amore

Ripubblico un articolo che scrissi nel 2010 in occasione dell’uscita di Per odio o per amore(Marco Del Bucchia Editore), del poeta pistoiese Leonardo Magnani. Successivamente ha visto le stampe anche la sua nuova raccolta, Messa in abisso (ISRPt Editore), su cui mi riprometto di tornare.

Leonardo Magnmagnani messa_in_abissoani è un giovane poeta pistoiese, di Barile per la precisione, che ha appena pubblicato il suo terzo volume: Per odio o per amore, edito da Del Bucchia. La sua è una poesia forte, fatta di immagini chiare e spesso toccanti, ma anche di rabbia e sdegno verso la nostra società sempre più corrotta, in tanti sensi. Un suo breve profilo biografico che si può trovare sul web recita: “Leonardo Magnani è nato a Pistoia il 20 giugno 1979. Ha ritardato di due anni la fine delle scuole superiori e il diploma di ragioniere, per instabilità caratteriale con i compagni ed i professori. Ha interrotto per gli stessi motivi l’Università pisana e in dettaglio il C. d. L. in Cinema Musica e Teatro. È fuggito anche una volta di casa e lo mordono sempre i cani rognosi…”.
Cerchiamo di conoscerlo meglio con questa intervista e, soprattutto, con alcune poesie tratte dal suo ultimo lavoro.

Ci racconti come è nato Per odio o per amore e perché questo titolo?

Questo libro è nato dalle enormi contraddizioni sociali, politiche e religiose venute a crearsi in Italia in questi primi anni del terzo millennio: una persona può decidere di fregarsene, di stare alla larga dalle informazioni o di subirle senza coscienza, e, invece, di costruirci sopra una nuova idea, quasi una “controcultura”, che trova le sue radici nel manicheismo presente nel mondo e nel mio animo, come se il Bene e il Male, l’Amore e l’Odio costantemente, ogni giorno, si confrontassero l’Universo, il piccolo e il grande Universo. E’ vero, vedo il mondo in due colori, ma non è forse così che girano le cose? E purtroppo, almeno in Italia e in questo matto mondo, girano al contrario. Il titolo della raccolta è una conseguenza di tutto ciò, quasi una forte presa di coscienza.

Il libro si apre con la dedica a due grandi poeti del ‘900, Penna e Palazzeschi. Cosa ti lega a loro?

Bella domanda! Al primo mi lega l’antinovecentismo, poiché Penna può essere considerato, in forma e contenuti (anche per la sua sofferta omosessualità da me condivisa), uno dei poeti più tradizionalisti nel secolo appena concluso. Ma sono pure cosciente di vivere nel 2010! E Palazzeschi, il futurista buono Palazzeschi, cantore del poeta che si diverte (e che può fare oggi solo quello) è l’esempio di un poeta puro che mi possa far, gioioso e dolente, trapassare il secolo nuovo. Da una parte v’è il passato. Dall’altra, il futuro. Anche qui siamo di fronte a una dicotomia.

Le tue poesie sono spesso fatte di domande. I punti interrogativi abbondano. Pensi che la Poesia, in quanto ricerca di Verità, sia nel suo intimo una domanda?

E se pensassimo a tutte le domande della vita che ci riempiono ogni giorno, più o meno mascherate dalle attività, più o meno silenziose, mentali o dichiarate, espresse, quanti libri potremmo ancora scrivere? Intere biblioteche magari poi bruciate da intemperanze, come quella d’Alessandria d’Egitto. Sì, non voglio essere ripetitivo: quello che hai detto, soltanto perché l’uomo, tra gli animali, è l’unico che possa organizzarsi una riunione di condominio, un’assemblea consiliare o un concistoro religioso, sempre grazie alla sua capacità d’interrogare e d’interrogarsi.

Accanto a temi intimi, personali, affettivi, le poesie accolgono anche istanze civili, se non proprio netti richiami politici. Qual è, secondo te, il ruolo del poeta in questa società?

Il ruolo del poeta è il ruolo che il poeta si vuole scegliere. Ci sono e ci sono stati bravissimi poeti che facevano del solo rapporto con l’altro sesso il fulcro della loro poetica (pensiamo solo allo “Stilnovismo” e alla “donna angelicata”), come chi, specie in epoca più moderna e contemporanea, ha usato ricorrere alla filosofia; chi ha scritto pensando al suo Dio, ci sono esempi in tutte le culture. Ma oggi, siamo giunti ad un livello comune di una tale dislessia come associativa, l’impossibilità di essere felici nelle nostre sviluppate società, che rivalutare un po’ tutti i temi e gli stili assume quasi una forma di necessità. Una forma di post-modernismo? No, niente termini filosofici, solo la voglia di essere chiari ad un numero molteplice di orecchie, come la comunicazione pubblicitaria fa, lavorando su target sempre più consistenti.

Al tuo attivo hai altre due raccolte: Urlo pisano disumanissimo e Il Prima e il Dopo. Cosa le distingue, o le accomuna, al tuo ultimo lavoro?

Entrambe si avvicinano molto a Per odio o per amore perché sono state scritte dopo una riflessione politico-religiosa, come da sopra esposta, che ho maturato in questi ultimi quattro o cinque anni dopo esser tornato da Pisa, dove ho frequentato Cinema alla facoltà di Lettere, corso interrotto da una grave crisi depressiva bipolare “coltivata” negli anni delle superiori. L’avvicinamento di temi politici (toccati con mano già dalle esperienze “ragionieristiche”) a tematiche spirituali (sempre presenti nel mio animo), il loro incrocio e slancio, che si portava dietro dal primo libro, pisano, Urlo pisano disumanissimo, e dal primissimo adolescenziale Asce da guerra, è una costante, in me. Solo che allora era meno chiara l’ambiguità tematica e stilistica manichèa.

Ti sei mai cimentato con la prosa oppure la tua è una “vena” esclusivamente poetica?

Sto lavorando a una raccolta di poesie, pubblicità narrative, racconti brevi e pagelle creative di personaggi misteriosi che, nel male, vivono tra Pistoia e l’Italia, aiutandomi con il Grand Guignol e la sua violenza verbale e fisica. Credo si chiamerà Carosello degli umani.


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